Terapie del diabete tipo 2 tutte uguali?

Le terapie del diabete tipo 2 sono tutte uguali ai fini della riduzione della morbilità e mortalità cardiovascolare?

Interessante studio pubblicato sui Quaderni dell’Italian Journal of Medicine a firma del nostro Presidente, Vincenzo Provenzano, sul controllo glicemico e riduzione del rischio cardiovascolare e sull’effetto delle nuove molecole per la cura del diabete.


“Controllo glicemico e riduzione del rischio cardiovascolare”

Il diabete mellito tipo 2 è una patologia in crescente prevalenza; nel mondo 387 milioni di persone ne sono affette e tale popolazione aumenterà a 592 milioni nel 2025. Più del 68% delle persone con età superiore a 65 anni affette da diabete muore per cause cardiovascolari.

L’eccesso di mortalità per malattie cardiovascolari nel diabete è pari al 20-40% rispetto alla popolazione non affetta; tale rischio può essere equiparato ai soggetti non diabetici con pregresso IMA.

I numerosi trials clinici hanno dimostrato che la riduzione dell’emoglobina glicata ha solo un modesto effetto di riduzione del rischio cardiovascolare, pertanto l’approccio terapeutico alla persona con diabete, non può che essere multifattoriale e focalizzato tanto alla correzione dell’iperglicemia quanto a quella dei fattori di rischio attraverso il controllo della pressione arteriosa, del peso corporeo, il raggiungimento del target di LDL-col, la cessazione del fumo di sigaretta e l’utilizzo di antiaggreganti piastrinici, quando necessario. Se l’iperglicemia infatti è un fattore di danno per la parete vascolare, ridurre l’iperglicemia e riportare i soggetti diabetici ad una condizione di quasi normoglicemia dovrebbe risultare in una significativa ed importante riduzione delle complicanze macrovascolari.

Tuttavia, i tre studi clinici ACCORD, ADVANCE e VADT, condotti su ampia popolazione,disegnati proprio per dimostrare l’efficacia del controllo glicemico intensivo sulla riduzione degli eventi vascolari, non solo non sono riusciti ad ottenere tale dimostrazione ma hanno addirittura generato il sospetto che il controllo glicemico intensivo possa essere pericoloso e le metanalisi dei 3 studi hanno evidenziato un eccesso di mortalità cardiovascolare nella popolazione trattata in maniera intensiva rispetto al gruppo trattato in modo standard.

Dal 2008 l’agenzia americana del farmaco (FDA) impone a tutti i nuovi farmaci per il controllo dell’iperglicemia la realizzazione di studi di sicurezza cardiovascolare.

Nello studio PRO-Active condotto in 5238 soggetti con pregressa malattia cardiovascolare per un periodo mediano di 34,5 mesi, il pioglitazone ha mostrato una riduzione dell’end point secondario (morte per tutte le cause, stroke e IMA non fatale) indipendentemente dalla sua azione ipoglicemizzante.

Il pioglitazone infatti, migliora l’insulino-sensibilità ed i molteplici componenti dell’insulino-resistenza quali l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia e la disfunzione endoteliale. A conferma del ruolo eziologico dell’insulino-resistenza nel determinismo delle complicanze macrovascolari, lo studio IRIS ha dimostrato come trattando con pioglitazone soggetti non diabetici ma insulinoresistenti con recente TIA o ictus si osservava una riduzione del 24% dei casi di stroke fatale e non ed IMA.

“Le lezioni dei grandi trials”

Gli studi con DPP-IV inibitori, condotti in pazienti diabetici con malattia cardiovascolare stabile, ai quali veniva aggiunta alla terapia background, sitagliptin (TECOS Study) o saxagliptin (SAVOR-TIMI), non hanno mostrato di modificare gli endpoint cardiova- scolari evidenziando altresì un incremento del tasso di…

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